Cecilia Cruz, dislessica e pedagogista
Dopo molti anni di studio e ricerca, sono giunta alla conclusione che la dislessia sia davvero un dono, una caratteristica unica che ci permette di creare nuove prospettive e di vedere nuovi orizzonti.
Non è un caso che molti dei più celebri inventori del passato e numerosi grandi imprenditori contemporanei siano dislessici.
È vero, leggiamo ovunque che "non tutti i dislessici sono dei geni", e sono d'accordo: sarebbe assurdo affermarlo in termini assoluti.
Ma possiamo certamente affermare il contrario, ossia che - quasi - tutti i geni sono dislessici.
Ed è proprio per questo che ho creato il metodo DysWay, perché ci sono troppi dislessici che non sono ancora consapevoli della loro particolare forma mentis e, per questo, non riescono ad accedere completamente alla propria creatività e a sbloccare il loro vero potenziale.
Con DysWay ogni dislessico trova la "sua strada", quella vera, e non quella dei limiti e dei paletti: la strada per una vita semplice e abbondante, per brillare ed abbracciare un futuro ricco di soddisfazioni.
Una bambina felice
(prima della scuola!)
Sono nata in Brasile, a Capelinha, a quel tempo un piccolo villaggio di contadini nel cuore di Mina Gerais, a oltre 400 km dalla prima città industrializzata.
Da piccola, ero una bambina felice e chiacchierona. Ero curiosa e passavo l'intera giornata a fare tante, tante domande a tutti.
Adoravo raccontare e ascoltare storie, passavo il tempo a fantasticare su come, da grande, avrei viaggiato in tutto il mondo. La mia immaginazione era senza limiti e ogni giorno era un'avventura.
Ma poco tempo dopo aver iniziato la scuola, la mia vita è cambiata totalmente.
L'inizio dei problemi
Quando ho iniziato la scuola, ho incontrato una realtà diversa da quella della mia infanzia felice: da bambina curiosa e spensierata mi sono trovata a fronteggiare una serie di sfide che mi hanno profondamente segnata.
Le difficoltà, che anni dopo mi avrebbero identificato come sintomi della dislessia, iniziarono a emergere, trasformando la scuola in un luogo di frustrazione.
Gli "esperti" mi etichettarono come problematica e io, influenzata da questa definizione, iniziai a percepire me stessa in modo negativo.
Difficoltà e solitudine
Gli insegnanti mi ritenevano pigra, svogliata, incapace di impegnarsi. Mi sentivo sempre dire "È intelligente, ma non si applica!" Ogni giorno di scuola era un massacro emotivo.
I miei compagni di classe mi consideravano "strana". Anche la mia famiglia e gli amici mi descrivevano come svogliata e con la testa fra le nuvole. Ricordo bene quel periodo... il senso di vuoto, il rifiuto, la confusione e la tristezza nel cuore. Non riuscivo a essere la persona che desideravo; avevo tanti sogni, ma rimanevano in gabbia.
I pensieri negativi, le difficoltà di lettura e di apprendimento erano una prigione che mi immobilizzava, dei paletti che mi incatenavano, frenando tutte le mie speranze. Di conseguenza, ho abbandonato la scuola tre volte prima di riuscire a completare il liceo in Brasile.
La trasferta in Italia
Dopo aver completato il liceo, mi sono trasferita in Italia dove, per accedere all'università, ho dovuto completare altri due anni per convalidare il mio diploma brasiliano.
Questa esperienza mi ha portato a una svolta significativa: fino a quel momento, influenzata da ciò che mi era stato detto, credevo che le difficoltà scolastiche fossero legate a una mancanza di impegno. Con il tempo, però, ho capito che, nonostante gli sforzi, continuavo ad affrontare grandi ostacoli e dovevo lavorare duramente per ottenere risultati.
Questa presa di coscienza mi ha spinta a indagare più a fondo: ho iniziato a capire che la causa delle mie difficoltà non era semplicemente legate al mio livello di impegno, ma a qualcos'altro a cui ancora non riuscivo a dare un nome.
Una scoperta inaspettata
La svolta si è verificata inaspettatamente durante una lezione di inglese, quando stavo leggendo ad alta voce in classe. Mi trovai a lottare con la parola "WILL", pronunciandola in modo errato nonostante mi sforzassi di correggermi.
Questo piccolo dettaglio non è sfuggito alla mia professoressa, che ha visto oltre la semplice sbavatura linguistica.
"Non è che sei dislessica?" mi chiese l'insegnante, sottolineando come gli errori fossero troppo basilari per il livello di conoscenza che dimostravo. Quella domanda aprì un nuovo percorso.
Dopo una conversazione con la professoressa fui indirizzata a un centro specializzato per una valutazione più approfondita. Quello che iniziò come un passo incerto, pieno di dubbi e domande, si è trasformò in una certezza: la diagnosi di dislessia.
La Certificazione
Decisi di affrontare la situazione con coraggio e mi recai al centro diagnostico per confermare i sospetti sulla dislessia. Il risultato del test non lasciò spazio a dubbi: ero dislessica.
Di fronte a questa conferma, sperimentai un turbinio di emozioni contrastanti. Da un lato una gioia inimmaginabile, poiché finalmente avevo una spiegazione chiara alle mie difficoltà di apprendimento. Dall'altro, però, questa gioia fu accompagnata da una profonda frustrazione.
Ero assalita dal dubbio: sarei mai riuscita a migliorare in modo significativo, nonostante la dislessia?
Nonostante questi sentimenti misti, trovai una certa serenità nella consapevolezza delle nuove opportunità che si aprivano davanti a me, perché lo specialista mi disse che a scuola, grazie alla certificazione, avevo alcuni diritti "speciali": le interrogazioni programmate, l'uso del pc, la sintesi vocale e tanti altri aiuti...
Dalla padella alla brace
Ma, sfortunatamente, ottenere la certificazione di dislessia non significò l'inizio di un cammino più facile, come avevo sperato.
Mi trovai nella posizione di dover spiegare personalmente ai miei professori cosa fosse la dislessia e di quali accorgimenti didattici avessi bisogno. Molti insegnanti erano completamente ignari di queste esigenze e diritti.
Spesso le lezioni venivano dettate senza l'ausilio della lavagna, creandomi ulteriori ostacoli. La tensione aumentava quando la sintesi vocale presentava problemi tecnici, causando l'irritazione di alcuni docenti.
Inoltre, c'erano professori che non si prendevano la briga di preparare la versione digitale delle verifiche, aumentando il mio senso di esclusione e difficoltà.
Queste esperienze si rivelarono estremamente difficili: mi sentivo isolata e priva di qualsiasi forma di comprensione o aiuto da parte della scuola.
Oltre gli strumenti compensativi
Inizialmente gli strumenti compensativi per la dislessia mi hanno offerto un sostegno nello studio.
Ma con il tempo, si sono rivelate solo semplici stampelle: se da un lato mi hanno aiutata a gestire, a tratti, le difficoltà, dall'altro mi avevano resa dipendente da "qualcosa".
Questo disagio è durato fino all'università, quando è arrivata la consapevolezza che mi ha portata a riflettere sulla necessità di trovare un metodo efficace, che mi permettesse di sfruttare pienamente le mie capacità senza dover dipendere da niente.
Questa consapevolezza ha segnato l'inizio del mio percorso verso un apprendimento autonomo e adatto a me.
La Scoperta della Crescita Personale
Durante questo viaggio, ho abbracciato la crescita personale come un pilastro fondamentale per superare la dislessia.
La consapevolezza che la gestione delle emozioni e un atteggiamento mentale positivo sono essenziali quanto le abilità tecniche ha rappresentato un punto di svolta.
Così ho imparato a gestire le sfide emotive, trasformando la frustrazione e l'insicurezza in forza e resilienza, e ho sviluppato strategie per mantenere una mentalità ottimista.
Questa evoluzione emotiva mi ha fornito la sicurezza necessaria per affrontare gli ostacoli, facendo della crescita personale non solo un mezzo per superare le sfide legate alla dislessia, ma anche una fonte di ispirazione e di forza per me stessa e per gli altri.
La Programmazione Neuro Linguistica
Poi è arrivata la scoperta della programmazione neurolinguistica (PNL), che mi ha offerto una prospettiva rivoluzionaria sulla dislessia. Ho scoperto che, come dislessica, avevo una naturale propensione verso un approccio visivo sia nell'apprendimento che nel pensiero.
Attraverso questa disciplina, ho imparato a utilizzare efficacemente questo canale visivo, impiegando immagini e schemi per assimilare e memorizzare le informazioni in modo più efficace.
Inoltre, ho individuato strumenti preziosi per comprendere e gestire meglio le emozioni, spesso cruciali nell'apprendimento. Questa nuova consapevolezza emotiva e cognitiva mi ha permesso di affrontare con maggiore fiducia le sfide della dislessia, sfruttando le mie inclinazioni naturali per trasformare le difficoltà in punti di forza.
Alla scoperta della mente dislessica
Affrontando la mia "battaglia" personale con la dislessia, ho sviluppato una profonda comprensione del funzionamento della mente dislessica.
Questa consapevolezza è stata il punto di partenza per la creazione del Metodo DysWay. La mente dislessica, spesso fraintesa, lavora in modo unico, con una forte inclinazione verso il pensiero visivo e spaziale, piuttosto che lineare.
I dislessici tendono a pensare per immagini, rendendo la loro percezione e elaborazione delle informazioni molto diversa rispetto i non dislessici.
Questo modo di pensare, sebbene presenti sfide nell'ambito dei metodi educativi tradizionali, offre anche vantaggi unici. Tra questi, una maggiore creatività e la capacità di pensare in modo divergente e fuori dagli schemi, qualità che si rivelano preziose nel mondo del lavoro.
La svolta con il metodo di lettura visivo
In un percorso costellato di sfide, ho trovato un'altra svolta rivoluzionaria nella scoperta della lettura veloce, un approccio che ha completamente cambiato le mie prospettive e riscritto le regole del gioco.
Allontanandosi dai metodi convenzionali, partendo della lettura veloce di Tony Buzan, ho personalmente elaborato una tecnica di lettura fondata su principi visivi, in perfetta armonia con l'inclinazione naturale della mente dislessica verso il pensiero visivo e spaziale.
Questa tecnica non solo ha trasformato radicalmente il mio approccio alla lettura e alla comprensione dei testi, ma è diventata anche un elemento chiave del Metodo DysWay. Questo metodo si è rivelato fondamentale per aprire nuove strade e offrire opportunità a chi, come me, vive la dislessia.
Dall'Economia Aziendale alla Fondazione di DysWay
Mentre esploravo il mondo sommerso delle strategie di apprendimento, declinandole per i dislessici come me, ero anche immersa negli studi universitari di economia aziendale.
Nonostante gli ottimi risultati accademici e il riconoscimento dei professori, con i quali avevo condiviso le mie difficoltà con la dislessia, mi trovavo di fronte a un bivio significativo.
Accanto agli studi universitari, ero attivamente coinvolta in progetti formativi rivolti ai Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA), offrendo supporto ai colleghi universitari con dislessia. Questa esperienza non solo ha rafforzato la mia determinazione, ma mi ha anche permesso di vedere l'impatto concreto che potevo avere nel migliorare la vita degli studenti con DSA.
Dopo profonde riflessioni, ho fatto un scelta coraggiosa: lasciare l'università di economia per dedicarsi completamente alla creazione e allo sviluppo del mio progetto sulla dislessia, che sarebbe poi diventato il metodo DysWay.
Unire tutte le tessere del puzzle
Combinando tutti gli elementi e le conoscenze acquisite durante il mio percorso, ho creato DysWay, una realtà con centri in Italia, Brasile e Portogallo, guidata da logopedisti, psicologi e insegnanti, che utilizzando il metodo, fornisce una soluzione concreta e definitiva alle difficoltà di lettura e apprendimento dei dislessici.
Oggi DysWay è più di un metodo: è un viaggio verso l'autorealizzazione, che ha già guidato e trasformato la vita di molti dislessici.
È un percorso che incoraggia a guardare oltre le difficoltà legate alla dislessia e al modello educativo tradizionale, promuovendo un approccio consapevole che valorizza le capacità uniche dei dislessici, rendedoli totalmente autonomi nella lettura, nello studio e totalmente consapevoli del loro vero potenziale.
La Laurea
in Pedagogia
Animata dal desiderio di approfondire le mie conoscenze nelle metodologie educative per la dislessia, ho deciso di immergermi poi in un percorso di specializzazione in pedagogia.
Questa decisione era fondata sul desiderio di combinare l'esperienza personale come dislessica con una qualifica professionale riconosciuta. I nuovi studi hanno ampliato le mie conoscenze, fornendomi una visione ancora più completa delle strategie di insegnamento.
Questa formazione mi ha resa più consapevole della necessità di un evoluzione del modello di insegnamento, in particolare per chi affronta le difficoltà legate alla dislessia.
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